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Santi del 17 Febbraio

Il mio Santo > I Santi di Febbraio

*Beato Antonio Leszczewicz - Sacerdote e Martire (17 febbraio)

Scheda del gruppo a cui appartiene il Beato Antonio Leszczewicz:
"Beati 108 Martiri Polacchi"
Abramowszczyzna, Lituania, 30 settembre 1890 – Rosic, Polonia, 17 febbraio 1943
Il Beato Antoni Leszczewicz, Sacerdote professo dei Chierici Mariani sotto il titolo dell'Immacolata Concezione della Beata Vergine Maria (Mariani), nacque a Abramowszczyzna (Vilnius), Lituania, il 30 settembre 1890 e morì a Rosic, (Polonia) il 17 febbraio 1943.
Fu Beatificato da Giovanni Paolo II a Varsavia (Polonia) il 13 giugno 1999 con altri 107 Martiri Polacchi.
Martirologio Romano: A Rosica in Polonia, Beato Antonio Leszczewicz, Sacerdote della Congregazione dei Chierici Mariani e Martire, che, durante l’occupazione militare di quella terra in tempo di guerra, fu bruciato dai persecutori della Chiesa per la fede in Cristo.
(Fonte: Enciclopedia dei Santi)
Giaculatoria - Beato Antonio Leszczewicz, pregate per noi.

*San Benedetto di Dolia - Vescovo (17 febbraio)

† Cagliari, 17 febbraio 1120 ?
Sebbene vi siano poche notizie che lo riguardano, esse sono però abbastanza precise visto la lontananza del tempo.
Benedetto era monaco nel celebre monastero benedettino di Montecassino; intorno al 1095 fu consacrato da Papa Urbano II (1088-1099), vescovo di Dolia in Sardegna (oggi Dolianova, in provincia di Cagliari), centro posto tra il Campidano e il Gerrei e formato dall’unione di Sicci san Biagio con San Pantaleo.
Si sa che nel 1112 donò la chiesa di S. Maria dell’Arco con le annesse terre e vigneti, al monastero cagliaritano di San Saturnino, in cui due mesi dopo la donazione si ritirò, rinunziando alla sede vescovile.
Benedetto morì il 17 febbraio di un anno imprecisato, forse il 1120 e fu sepolto nel suddetto monastero di Cagliari.
Lo storico benedettino Pietro Diacono (1107-1159) ne ha raccontato i miracoli, da lui operati, nella sua “Cronica S. Benedicti Casinensis”.
(Autore: Antonio Borrelli - Fonte: Enciclopedia dei Santi)
Giaculatoria - San Benedetto di Dolia, pregate per noi.  

*San Bonoso di Treviri – Vescovo (17 febbraio)

Martirologio Romano: A Treviri, nella Gallia belgica, oggi in Germania, San Bonoso, Vescovo, che, insieme a Sant’Ilario di Poitiers, si adoperò con sollecitudine e dottrina, perché nelle Gallie si conservasse integra la fede.
Sacerdote della diocesi di Treviri, Bonoso (Bonosio) fu perseguitato dagli ariani al tempo dell'imperatore Costanzo.
Infatti, allorché san Paolino, vescovo di Treviri, fu deposto dal concilio di Arles del 353 e inviato in esilio in Frigia perché parteggiava per sant'Atanasio, anche Bonoso fu imprigionato a Treviri per la fedeltà dimostrata al suo vescovo. Alla morte di san Paolino (358), tuttavia, Bonoso fu chiamato a succedergli.
Nulla si conosce circa la sua attività episcopale e non si può neppure determinare con precisione la data della sua morte, avvenuta, comunque, prima del 374, anno in cui Treviri era già retta dal suo successore, san Brittone.
Le reliquie di Bonoso sono venerate tuttora a Treviri nella chiesa di San Paolino e la sua memoria vi è celebrata ii 17 febbraio.
(Autore: Gian Michele Fusconi - Fonte: Enciclopedia dei Santi)
Giaculatoria - San Bonoso di Treviri, pregate per noi.

*San Constabile (Costabile) - Quarto - Abate di Cava (17 febbraio)
Martirologio Romano: Nel monastero di Cava de’ Tirreni in Campania, San Costabile, Abate: per la sua straordinaria mansuetudine e la sua carità verso tutti fu comunemente chiamato “coperta” dei fratelli.
Il 21 dicembre 1893 Papa Leone XIII, riconobbe l’antichissimo culto tributato e il titolo di Santo, ai primi quattro abati, della celebre Abbazia della SS. Trinità di Cava dei Tirreni, fondata nel
secolo XI.
Essi sono Sant' Alferio il fondatore e primo abate († 1050), San Leone I (1050-79), San Pietro I Pappacarbone (1079-1123) e San Costabile o Constabile (1122-24), le loro reliquie riposano nella chiesa dell’abbazia nella ‘Cappella dei Ss. Padri’.
Costabile nacque verso il 1070 a Tresino in Lucania dalla nobile famiglia Gentilcore, a sette anni fu affidato all’abate di Cava San Leone I, divenendo poi monaco nella stessa abbazia.
Dimostrò un impegno encomiabile della Regola benedettina nella vita monastica, tale che fu considerato un esempio per i suoi confratelli e incaricato dall’abate di importanti trattative di affari per l’abbazia.
Il 10 gennaio 1118, con il pieno consenso dei monaci, fu elevato dall’abate San Pietro I a suo coadiutore nel governo dell’abbazia ormai ingranditosi notevolmente, succedendogli poi nella carica alla sua morte, il 4 marzo 1122. La sua opera si esplicò con amabilità, comprensione per ciascuno dei monaci e dei loro singoli problemi, senza far pesare la sua autorità.
Morì il 17 febbraio 1124 a soli 53 anni e sepolto nella parte della chiesa sovrastante la grotta ‘Arsicia’ usata da Sant' Alferio.
Dopo la sua morte apparve varie volte agli abati suoi successori, venendo in loro aiuto nelle contingenze, si parla di suoi interventi prodigiosi per la salvezza delle navi, che in seguito appartennero alla celebre Abbazia, al punto che per tutto il Medioevo fu ritenuto protettore dei marinai dell’abbazia.
La sua festa ricorre il 17 febbraio; è il patrono della cittadina di Castellabate nel Cilento, da lui fondata nel 1123 e il cui nome lo indica chiaramente.
(Autore: Antonio Borrelli - Fonte: Enciclopedia dei Santi)
Giaculatoria - San Constabile, pregate per noi.

*Beata Elisabetta Sanna - Vedova, Terziaria francescana, membro dell’Unione dell’Apostolato Cattolico (17 febbraio)
Codrongianos, Sassari, 23 aprile 1788 – Roma, 17 febbraio 1857
Elisabetta Sanna nacque a Codrongianos (Sassari) il 23 aprile 1788. A tre mesi perdette la capacità di sollevare le braccia. Sposata, allevò cinque figli. Nel 1825 restò vedova e fece voto di castità; era la madre spirituale delle ragazze e delle donne della sua terra. Nel 1831, imbarcatasi per un pellegrinaggio in Terra Santa, finì a Roma, e non poté tornare, per sopravvenuti gravi disturbi fisici. Si dedicò totalmente alla preghiera ed a servire i malati e i poveri.
Fu tra i primi iscritti all’Unione dell’Apostolato Cattolico di san Vincenzo Pallotti, suo direttore spirituale. La sua abitazione divenne un santuario di viva fede e ardente carità. Morì a Roma il 17 febbraio 1857 e venne seppellita nella chiesa del SS. Salvatore in Onda. Dopo una causa durata oltre un secolo e mezzo, è stata beatificata il 17 settembre 2016 presso la basilica della Santissima Trinità di Saccargia a Codrongianos.
Ha le braccia atrofizzate e paralizzate, per cui non riesce a portare il cibo alla bocca e nemmeno a fare il segno di croce: una disabile, insomma, e per questo la vorrebbero proporre come protettrice di tutti i disabili del mondo. Il suo handicap è una conseguenza del vaiolo, contratto da bambina piccolissima, e di un’operazione maldestra: le è rimasta soltanto la possibilità di muovere dita e polsi, ma per poter mangiare deve utilizzare speciali bacchette in legno, realizzate apposta per lei.
Malgrado questa menomazione, soprattutto perché non è tipo da piangersi addosso, riesce ad avere una vita normale e all’apparenza felice, anche per le condizioni discretamente agiate della sua famiglia, che nel clima di generale povertà di Codrongianos (Sassari) si distingue per il reddito garantito dei campi che lavorano onestamente.
In Elisabetta Sanna soltanto le braccia sono inerti, perché in lei non mancano le idee e la volontà di tradurle in pratica: a casa sua si danno appuntamento le ragazze del paese per imparare catechismo, organizzare pellegrinaggi, occupare utilmente il tempo libero. E deve pure avere un buon seguito se nel 1803, quando ha solo 15 anni, alcune mamme del paese vanno a protestare ufficialmente dai suoi genitori, perché attira troppo le ragazze in chiesa.
Impedita a pettinarsi, lavarsi la faccia, cambiarsi d’abito da sola, ha sviluppato tuttavia le sue capacità residue che le consentono di impastare, infornare e sfornare il pane e, nessuno mai lo potrebbe immaginare, anche allevare figli. Neanche lei, a dire il vero, perché le sembra impossibile aspirare al matrimonio nelle sue condizioni e poi perché si sente profondamente attratta dalla vita religiosa pur essa non priva di difficoltà, senonché all’improvviso saltano fuori ben tre pretendenti.
Mentre mamma insiste perché si sposi e lei punta i piedi perché vuole andare in convento, si accorge di averli tutti contro, confessore compreso, a caldeggiare il suo matrimonio. Finisce per arrendersi e, potendo addirittura scegliere, dice il tanto sospirato "sì" a quello dei tre che è più povero, come a dire che con il matrimonio non è in cerca di una buona sistemazione.
Incredibile a dirsi, il suo è un matrimonio che funziona e nel 1807, cioè a 19 anni, comincia ad essere sposa felice di un marito felice, Antonio Porcu. Tra il 20 novembre 1808 e il 20 novembre 1822 nascono sette figli, cinque dei quali sopravvivono, e lei riesce ad allevarli, possiamo immaginare con quanta difficoltà. Testimonianze giurate riferiscono che in quella casa il marito non fa nulla, senza prima sentire la moglie e questa non finisce mai di dire di non esser degna d'un marito così buono.
Peccato che quest’ultimo muoia il 25 gennaio 1825, lasciandola vedova a 37 anni con cinque figli, il più piccolo dei quali ha solo tre anni. Senza perdersi d’animo, si riorganizza la vita e la vedovanza, facendo innanzitutto voto di castità, come a ribadire di non volersi più risposare, caso mai se ne fosse ripresentata l’occasione.
Insieme ai suoceri, con cui vive d’amore e d’accordo, avvia poi i figli più grandi al lavoro dei campi, mentre si prende cura dei suoi più piccoli, ma anche di quelli degli altri, perché non ha perso l’abitudine di aprir le porte di casa sua per far catechismo ed insegnare ai più piccoli a cantare e pregare. Si intensifica la sua partecipazione alla vita parrocchiale, senza che per questo ne risentano né l’educazione dei figli, né i lavori di casa, che tiene pulita come uno specchio.
Torna, in questo periodo, il desiderio della vita religiosa, ma si sente legata ai suoi doveri di famiglia e glieli richiamano in continuazione anche i confessori. Che non riescono però a toglierle dalla testa il desiderio di fare un pellegrinaggio in Terrasanta, verso la quale si sente irresistibilmente attratta, volendo almeno una volta nella vita posare i piedi sulla stessa polvere calpestata da Gesù.
Organizza il suo viaggio nel 1831, con la certezza che i suoceri baderanno ai figli e il fratello prete si prenderà cura del più piccolo fino al suo ritorno e si imbarca il 25 giugno. Il viaggio, però, subito si trasforma in incubo a causa di una burrasca, che per quattro giorni tiene in balìa delle onde la povera nave, costretta il 29 giugno ad un attracco d’emergenza a Genova.
Sfinita al punto di non reggersi in piedi, qui Elisabetta si accorge di non avere il visto per raggiungere la Terra Santa e, dato che per ottenerlo bisogna attendere mesi, insieme ad altri pellegrini raggiunge Roma con un viaggio via terra molto faticoso.
"Mamma Sanna" a Roma prende provvisoriamente alloggio in una locanda, ma ben presto le viene diagnosticato un grave problema di cuore per cui il medico esclude che, almeno per il momento, sia in condizioni di proseguire il viaggio o di rientrare in Sardegna perché non sopporterebbe la traversata. Tanto vale, quindi, trovare una sistemazione meno provvisoria e soprattutto più economica, visto che le sue risorse economiche si stanno esaurendo.
Poiché la donna ha imparato a malapena a leggere, ma non sa scrivere, è don Vincenzo Pallotti (che sarà il suo direttore spirituale e che la Chiesa poi ha proclamato santo) a scrivere in Sardegna, al fratello prete di Elisabetta, per comunicare le sue condizioni di salute e l’impossibilità di un ritorno immediato.
Per di più lei parla solo il dialetto sardo e non riesce a comunicare, perché nessuno a Roma lo capisce. Trova sistemazione in una soffitta, nei pressi della basilica di San Pietro, chiaramente una soluzione di fortuna e non certo ambita da molti, vista la difficoltà per accedervi e l’obbligo di condividerla con sgradevoli ed aggressivi topi, che saranno sempre suoi coinquilini.
Unico pregio è la sua collocazione, a ridosso della basilica, che per lei diventa la sua collocazione abituale: chi vuole trovarla è in San Pietro che deve andare a cercarla, sprofondata in preghiera sul nudo pavimento, in un angolo buio e seminascosto.
Dalle prime luci dell’alba, quando la basilica apre i battenti, fino a quando li chiude, un misterioso ininterrotto colloquio si svolge tra la donna dalle braccia inerti e il suo Dio, che evidentemente non ha problemi a capirla, anche se lo prega in strettissimo dialetto sardo.
Come sempre accade, dall’intesa dell’uomo con Dio nasce poi quella con gli uomini, che poco a poco cominciano a capire ciò che dice quella donna, vestita in modo strano e che sembra avere "un fagotto sulla testa", che passa indenne tra gli sberleffi dei monelli, che entra quasi di soppiatto nelle case dei poveri e dei malati per curare pulire e servire con le sue braccia paralizzate, che ha imparato ad ascoltare e comprendere affanni regalando parole di consolazione e di speranza.
C’è uno strano andirivieni nella sua soffitta infestata dai topi: nobili e poveri, cardinali e popolane, uomini d’affari ed esponenti della curia romana. Si è infatti sparsa voce che "Mamma Sanna" legga nei cuori, scruti le coscienze, investighi il futuro e interpreti il presente alla luce di Dio.
Tutto questo avviene sotto gli occhi della "Virgo Potens", cioè il quadro mariano che tiene in camera, e davvero "potente" si rivela la sua intesa con la Vergine, se davanti ad esso avvengono piccoli e grandi eventi straordinari, guarigioni fisiche e conversioni, tutte rigorosamente attribuite alla Madonna, anche se agli occhi del popolo non è del tutto estranea l’intercessione di questa donna che pare abbia davvero un filo diretto con il Paradiso.
Tutti, in segno di riconoscenza, lasciano cospicue offerte e doni in natura e tutto lei "ricicla": una parte direttamente, portandola ai poveri che va a trovare; l’altra, più consistente, facendola arrivare alla Pia Casa di Carità fondata da don Pallotti con la sua Società dell’Apostolato Cattolico.
Di tornare in Sardegna neppure si parla: sia perché i suoi figli si sono sistemati e adesso sono all’onor del mondo e sia perché appare chiaro che la Provvidenza l’ha voluta proprio a Roma, facendola adottare dai romani che l’hanno ribattezzata la "Santa di San Pietro".
Tutto questo per 26 anni, cioè fino al 17 febbraio 1857, quando si spegne dolcemente nella "sua" soffitta, consumata dal suo male, dall’artrite avanzante e dalle tante penitenze. "Santa subito" per i romani, appena quattro mesi dopo la morte inizia il processo di canonizzazione, che però si arresta per quasi 160 anni, durante i quali sembra che il diavolo ci metta lo zampino con difficoltà che paiono insormontabili e che poi si appianano grazie al ritrovamento di documenti di un secolo prima, di cui si era persa memoria.
Poiché il tempo non riesce a spegnere l’interesse e la venerazione per Elisabetta Sanna, nel 2014 è riconosciuto l’esercizio eroico delle virtù ed è dichiarata Venerabile. Il passo successivo è la beatificazione, celebrata a Codrongianos il 17 settembre 2016, dopo il riconoscimento di un miracolo avvenuto in Brasile, dove una donna, guarda caso, ha recuperato la piena funzionalità del braccio destro affetto da grave distrofia, proprio per intercessione della "piccola sarda, grande santa" dalle braccia paralizzate.
(Autore: Gianpiero Pettiti)
A Codrongianos (Sassari), il 23 aprile 1788, da una famiglia di agricoltori, ricca di fede e di figli, nasce Elisabetta Sanna. Nella sua casa si lavora, si prega, mai si nega l’elemosina ai poveri. Quando ha appena tre mesi, un’epidemia di vaiolo causa la morte di molti bambini ed anche lei ne viene colpita. Guarisce, ma rimane con le braccia leggermente storpie e le articolazioni alquanto irrigidite. Ciò non le impedisce di crescere, imparando a sopportare il suo handicap, come cosa naturale e a sbrigare al meglio le faccende domestiche, a presentarsi sempre ordinata e pulita.
Dalla famiglia, riceve il dono di un’intensa vita cristiana, fin da piccola, così che a sei anni riceve la Cresima, il 27 aprile 1794, da Mons. Della Torre, Arcivescovo di Sassari. Poco dopo, è affidata a una certa Lucia Pinna, terziaria francescana, assai attiva in parrocchia, animatrice di un gruppo di donne dedite all’adorazione eucaristica, al Rosario, al soccorso dei poveri: ogni giorno. Lucia, benché analfabeta, come quasi tutte le donne di quei tempi, è una singolare catechista in mezzo alle ragazze del borgo e della campagna. Alla sua scuola, Elisabetta impara a conoscere Gesù e a volergli bene.
Giovane catechista
A dieci anni, la prima Confessione e la prima Comunione. Frequenta il catechismo tenuto da Don Luigi Sanna, cugino del papà, e al catechismo porta le compagne, dicendo: «Dai, vieni che è bello». Ella
stessa, giovanissima, pur non sapendo né leggere né scrivere, diventa piccola catechista. Un giorno, guardando il Crocifisso, sente una voce interiore che le dice: «Fatti coraggio e amami!».
Quindicenne, raduna le ragazze nei giorni festivi in casa sua e insegna loro la dottrina cristiana e a pregare con il Rosario. Suo fratello, Antonio Luigi – dal quale ha imparato a intensificare il culto alla Madonna – entra in Seminario a Sassari dove diventerà sacerdote. Elisabetta, rimanendo nel mondo si iscrive alla Confraternita del Rosario e a quella dello Scapolare del Carmelo. Una giovinezza serena, piena di lavoro, di colloquio con il Signore Gesù, di apostolato.
Vorrebbe farsi suora; sicuramente, essendo handicappata, non pensa a sposarsi, eppure, ventenne è cercata in sposa da giovani buoni. Così il 13 settembre 1807, a 19 anni, celebra il matrimonio con un certo Antonio, un vero buon cristiano di modeste condizioni. Una festa semplice e serena, un totale affidamento al Signore e alla Madonna, è l’inizio della loro vita coniugale. Antonio è un marito e padre esemplare che stravede per la sua sposa e le dà totale fiducia. Agli amici dice: «Mia moglie non è come le vostre, è una santa!». Elisabetta dirà: «Io non ero degna di tale marito, tanto era buono». La loro famiglia è modello per tutto il paese.
Negli anni che seguono, nascono sette figli. Ella passa le giornate tra la casa, impegnata nell’educazione dei figli e la campagna, dove lavora senza risparmiarsi. E trova anche il tempo per lunghe ore di preghiera in chiesa. Ella stessa prepara i suoi figli alla Confessione e alla Comunione e trasmette loro un grande amore a Gesù, con molta dolcezza, senza mai usare modi bruschi. Una vera educazione con il cuore. Non teme le critiche per la sua fede pubblicamente professata e vissuta: «Questo mio tenore di vita – risponde – non mi ha impedito di attendere ai miei doveri di madre di famiglia che compio oltre le mie forze».
Dei sette figli, due sono morti in tenerissima età. Nel gennaio 1825, il giorno 25, suo marito, Antonio, assistito da lei, muore in giovane età. Vedova con cinque figli, il più grande ha 17 anni, il più piccolo di appena tre, intensifica la sua vita di preghiera e di carità, senza mai trascurare i suoi doveri di madre e la sua famiglia procede con dignità e decoro.
Monaca nel mondo
La sua casa diventa quasi un piccolo oratorio, dove, oltre ai suoi familiari, si riuniscono in preghiera i vicini di casa. Ella vive come una monaca nel mondo e così è chiamata con rispetto: "sa monga".
In questi anni, compone in dialetto logudorese una bellissima lauda, che sarà cantata a lungo a Codrongianos: "Ti ho, Dio, in cuore e in mente, perché troppo mi hai amata. Viver non posso più lontana da Dio. Gesù è il cuor mio e io sono di Gesù".
Nel 1829 arriva in paese il giovane vice-parroco, Don Giuseppe Valle, di nobile famiglia, di notevole ascendente sulle anime. Diventa il confessore e direttore spirituale della famiglia Sanna, in particolare di Elisabetta, che lui avendo appena 24 anni, chiama zia. Don Valle, viste le ottime disposizioni di Elisabetta, la invita alla Comunione molto frequente, le permette di portare il cilicio e le concede di emettere il voto di castità. La sua vita cristiana diventa davvero ardente. Gesù le chiede così di seguirlo più da vicino.
Elisabetta, pensa di andare allora in Palestina. Ma dove avrebbe sistemato i suoi figli, in quel tempo? Il buon prete le suggerisce di affidarli al fratello sacerdote, Don Antonio Luigi. Alla fine del giugno 1830, si imbarcano da Porto Torres per Genova: lì attendono dieci giorni la nave per Cipro. All’ultimo momento, però, Don Valle scopre di non avere il visto per l’Oriente.
Allora, con Elisabetta e un altro frate, decidono di dirigersi a Roma: «Anche Roma è terra Santa: ci sono le tombe degli Apostoli Pietro e Paolo, grandi santuari e poi c’è il Papa, Vicario di Gesù sulla terra. Più tardi, da là, se il Cielo vorrà, partiremo per la Palestina». Così il 23 luglio 1830, arrivano a Roma. Don Valle è assunto come cappellano all’ospedale Santo Spirito, dove si dedica ai malati con cuore di padre. Elisabetta Sanna si accomoda in un piccolissimo alloggio di due stanzette, di fronte alla chiesa di Santo Spirito, vicinissimo alla Basilica di San Pietro, proprio nel cuore della Cristianità.
Apostolato romano
Elisabetta conosce solo il dialetto e quindi non parla con nessuno. Solo con Dio nella preghiera e vive nella sua celletta, come un’eremita: visita chiese, partecipa alla Messa più volte al giorno, fa la carità ai poveri. Nel suo alloggio, due mesi dopo, accoglie Don Giuseppe Valle, come un figlio da curare. Il prete vi rimarrà fino al 1839, assistito da Elisabetta come da una madre.
Nel suo pellegrinare per le chiese di Roma, assetata di preghiera, Elisabetta si incontra, in San Pietro con il Maestro dei Penitenzieri, Padre Camillo Loria, che, ascoltata la sua confessione, le ordina di tornare in Sardegna. Ella è decisa ad obbedire, ma proprio in quel periodo di dubbio e di ansia sul da farsi, incontra nella chiesa di Sant’Agostino, un santo prete romano, Don Vincenzo Pallotti, dedito ad un proficuo vasto apostolato, in cui coinvolge numerosi laici, dando vita nel 1835 alla Società dell’Apostolato Cattolico.
Uomo di grande influenza sui religiosi e sui laici, ricco di un fascino singolare, Don Pallotti sarà canonizzato dal Santo Padre Giovanni XXIII nel gennaio 1963. Elisabetta è compresa e rasserenata da Don Vincenzo, che illuminato da Dio, vede la singolare missione a cui ella è chiamata nell’Urbe. Dirà: «Allora, mi quietai e dopo circa cinque anni che dimoravo a Roma, ebbi una lettera da mio fratello sacerdote che la mia famiglia era veramente lo specchio del paese e tutti ne erano edificati».
Davvero è il caso di dire che ognuno ha da Dio la sua vocazione, anche se qualche volta, può apparire difficile da comprendere.
Ma i santi sanno percepire la volontà di Dio. Elisabetta si dedica al lavoro che le basta per vivere in povertà e letizia e occupa grandissima parte del suo tempo nella preghiera e nella contemplazione di Dio. Per qualche tempo, collabora nella casa di Mons. Giovanni Saglia, segretario della Congregazione dei Vescovi e futuro Cardinale. Diventa terziaria francescana e soprattutto si occupa, come prima collaboratrice, nell’unione Apostolato Cattolico, fondato da Don Pallotti. Ai suoi figli in Sardegna, fa donazione di tutto quanto possiede, lieta di vivere in perfetta povertà. Chi la avvicina, dirà di lei: «Vedeva Dio in tutto e lo adorava in tutte le cose.
L’amore di Dio era la sua vita. Ogni più grande interesse spariva di fronte all’interesse di Dio. Diceva spesso: Mio Dio, io vi amo sopra tutte le cose». Diventa nota a tutti la sua passione per l’adorazione eucaristica, specialmente per la Quarantore. Alla scuola di San Vincenzo Pallotti, cresce ancor più la sua devozione alla Madonna e la sua stanzetta, davanti a San Pietro diventa un piccolo santuario mariano dove si riunisce la gente a pregare con lei. Sembra che il cielo di Dio discenda in quella minuscola cella. Dai primi Pallottini, da numerosissimi romani che hanno modo di avvicinarla, è venerata come madre, anzi come santa. Lo stesso Don Pallotti la porta in grandissima stima e conduce i suoi figli spirituali ad ascoltare la sua parola.
La Santa di San Pietro
Nel tempo della repubblica romana, quando il Papa Pio IX è esule a Gaeta e Roma è caduta nelle mani dei senza Dio, Elisabetta si dimostra di singolare fortezza, di fronte a coloro che la osteggiano: «Per chi preghi?», le domandano con ironia. «Per tutti!». «E anche per la repubblica?». Risponde: «Io non conosco questa persona!». Don Pallotti muore il 22 gennaio 1850, morte prevista da Elisabetta la quale ora è ancora più sola. Intensifica la sua preghiera e il suo apostolato. Ora è davvero la santa che ha conquistato il cuore dei romani per donarli a Gesù.
È ormai anziana e sofferente. Si è consumata come un cero che arde sull’altare. Il 17 febbraio 1857, con la morte dei santi, Elisabetta Sanna va incontro a Dio, dopo aver visto Don Pallotti e San Gaetano da Thiene, che vengono a prenderla per il Paradiso. Al suo funerale, la gente di Roma dirà: «È morta la Santa di San Pietro».
Fu tanto il consenso popolare su di lei che, appena quattro mesi dopo la morte, fu nominato il postulatore della sua causa di beatificazione, durata oltre un secolo e mezzo. È stata dichiarata Venerabile il 27 gennaio 2014. Il miracolo che l’ha condotta finalmente sugli altari, approvato da papa Francesco il 21 gennaio 2016, è la guarigione, avvenuta nel 2008, di una ragazza brasiliana da un tumore che le paralizzava un braccio. È stata beatificata il 17 settembre 2016 presso la basilica della Santissima Trinità di Saccargia a Codrongianos.

(Autore: Paolo Risso – Fonte: Enciclopedia dei Santi)
Giaculatoria - Beata Elisabetta Sanna, pregate per noi.

*Sant'Evermodo di Ratzeburg – Vescovo (17 febbraio)
† 1178

Martirologio Romano: A Ratzeburg nell’Alsazia, ora in Germania, Sant’Evermodo, vescovo, che, discepolo di san Norberto nell’Ordine premonstratense, si adoperò per la conversione del popolo dei Venedi.
Nato nel Belgio, dopo aver udito San Norberto (morto nel 1134) predicare nella città di Cambrai, si unì a lui, divenendo compagno fedele delle sue fatiche e viaggi apostolici.
Insieme con altri fu mandato da Norberto ad Anversa, perché vi combattesse l’eresia sacramentaria di Tanchelmo: questa spedizione raccolse ottimi frutti.
Nel 1134 fu dallo stesso Norberto, qualche mese prima della morte, costituito preposto del cenobio di Gottesgnaden, nella Germania centrale, dove rimase fino al 1138; fu poi, fino al 1154, preposto di santa Maria di Magdeburgo, città in cui Norberto era stato vescovo e riformatore celeberrimo. Infine nel 1154, fu costituito vescovo di Ratzeburg (diocesi di Osnabriick).
Nella sua chiesa metropolitana eresse un capitolo di canonici premostratensi, ricevendo l’approvazione del papa Adriano IV, il quale concesse che, in seguito, da questo collegio fosse eletto il vescovo della città.
Evermodo si adoperò con tutte le sue forze per convertire alla religione cattolica i Wendi, popolazione dell’attuale Germania settentrionale, di cui fu detto apostolo. Morì il 17 febbraio 1178
Il suo culto fu approvato da Benedetto XIII nel 1728.

(Autore: Giovanni Battista Valvekens – Fonte: Enciclopedia dei Santi)
Giaculatoria - Sant'Evermodo di Ratzeburg, pregate per noi.

*Beato Federico da Berga (Martino Tarrés Puigpelat) Sacerdote Cappuccino, Martire (17 febbraio)
Schede dei Gruppi a cui appartiene:
"Beati Martiri Spagnoli Cappuccini di Barcellona" Beatificati nel 2015 - Senza data (Celebrazioni singole)
"Santi, Beati e Servi di Dio Martiri nella Guerra di Spagna" Vittime della persecuzione religiosa - Senza Data (Celebrazioni singole)

Berga, Spagna, 8 ottobre 1877 – Barcellona, Spagna, 17 febbraio 1937

Nato a Berga, in Catalogna (Spagna), Martí Tarrés Puigpelat entrò nell’ordine cappuccino nel 1896 e ricoprì la carica di ministro provinciale di Catalogna dal 1921 al 1924. Religioso e superiore attivo ed austero, fu assassinato dai marxisti a Barcellona il 17 febbraio 1937, in quanto sacerdote.
Il suo nome figura a capo del gruppo dei martiri cappuccini della Catalogna, un totale di 15 sacerdoti, 6 chierici e 5 fratelli laici uccisi a Barcellona per mano marxista durante il periodo della Repubblica del Fronte popolare.
L’inchiesta diocesana iniziò il 28 marzo 1957, per poi arenarsi quasi subito. La Causa fu ripresa il 13 marzo 1995.
La Positio fu consegnata il 15 marzo 2005. Papa Francesco ha riconosciuto il loro martirio in hodium fidei di Padre Federico e dei suoi 25 compagni in data 5 giugno 2015. Il 21 novembre sono stati beatificati nella cattedrale di Barcellona.

(Fonte: Enciclopedia dei Santi)
Giaculatoria - Beato Federico da Berga, pregate per noi.

*San Finan di Lindisfarne (di Iona) – Vescovo (17 febbraio)
m. 661
Originario della Scozia. Le primie notizie risalgono al periodo della sua permanenza a Iona. Successe a San Aidano nella diocesi di Lindisfarne nel 652 come vescovo.
Passerà alla storia per aver convertito vari principi e nobili del suo tempo. Beda il venerabile lo definirà 'Acerrimus veri Paschae defensor".
La morte di Finan è posta nel 656.
La sua festa è ricordata il 9 gennaio nell'agiografia irlandese, al 17 febbraio, invece, negli autori inglesi e scozzesi. E' da notare che la sua opposizione agli usi romani lo aveva escluso dal Calendario romano, ma Leone XIII, nel 1898, ha ristabilito la sua festa per la Scozia, dove è ricordato nella diocesi di Argyll. (Avvenire)
Emblema: Bastone pastorale
Martirologio Romano: A Lindisfarne in Northumbria, nell’odierna Inghilterra, San Fináno, vescovo e abate, ricco di straordinaria dottrina e di zelo per l’evangelizzazione.
Circa l'origine di Finan, esistono due tradizioni: una lo dice nativo dell'Irlanda, figlio di Rimed o Ryves; per l'altra, invece, era nato in Scozia e questa tradizione è accolta nei Martirologi di Tallaght, del Donegal e di Gorman che, tutti, lo definiscono "sassone". Baring-Gould, inoltre, precisa, non sappiamo su quali prove, il suo distretto, che era quello degli Scoti Dalriadiani.
Comunque, è noto che le prime notizie su Finan risalgono al periodo della sua permanenza a Iona, dove fu per molto tempo, sotto il governo di Seghine, quinto abate (623-652). Morto s. Aidano (31 agosto 651), Finan fu eletto a succedergli e prese possesso della diocesi di Lindisfarne (corrispondente alle attuali contee di Northumberland, (Durham e York), nel 652.
L'organizzazione di Lindisfarne era analoga a quella di Iona; il monastero era governato da un abate, scelto dal vescovo col consenso della comunità e tutto il clero, entro e fuori il monastero, compreso il vescovo, seguiva la regola monastica.
Fermo sostenitore degli usi celtici, e perciò sgradito a Beda (che, però, ammette le sue grandi virtù) Finan costruì la sua grande cattedrale in legno ed ebbe una disputa con un certo Ronan, difensore della Pasqua romana, il quale, però, non riuscì a convincerlo.
In realtà, non sembra che Ronan si sia rivolto a Finan nei termini di rispetto che si dovevano a un vescovo, e questo traspare anche dalla narrazione di Beda, che lo definisce "acerrimus veri Paschae defensor". Va detto tuttavia che il vescovo non ostacolò mai i seguaci degli usi romani.
Amico di Oswiu, re di Northumbria (654-670), Finan ottenne due grandi successi nel suo apostolato.
Battezzò infatti nel 653 Peada, principe degli Angli Mediterranei e figlio del pagano Penda, re di Mercia, al quale Oswiu aveva posto come condizione, per concedergli la mano della figlia Alchfleda, la sua adesione al Cristianesimo. Successivamente, anche Sigeberto II detto Sanctus o Bonus, re dei Sassoni Orientali (ca. 653-664), si fece battezzare da Finan; alla conversione dei princip. seguì quella dei loro sudditi, e dopo qualche tempo Finan poté ordinare Diuma vescovo degli Angli Mediterranei e s. Cedd vescovo dei Sassoni Orientali. Il luogo del Battesimo di Peada e Sigeberto è detto da Beda Ad Murum ed è da identificarsi forse con Benwell, presso Newcastle; era comunque una delle ville di Oswiu site lungo il Tyne.
Un altro figlio di Penda, Wulpher, si fecè battezzare da Finan, ma fu spinto alla conversione dal timore che Oswiu (che tenne la Mercia dal 654 al 657) volesse vendicare su di lui la morte di Oswald, ucciso da Penda nel 641. La precarietà dell'adesione di Wulpher al Cristianesimo si mostrò ben presto, perché egli, istigato da un certo Belial, abiurò e diede il martirio ai suoi figli Vulfado e Rufino.
Secondo gli analisti scozzesi, l'autorità di Finan si estendeva anche oltre i confini della sua pur grande diocesi, ed essi narrano della sentenza di scomunica pronunciata dal vescovo di Lindisfarne contro un certo Fergus, re degli Scoti Dalriadiani, che aveva suscitato le proteste del clero per le sue violenze e la sua avidità.
La morte di Finan è posta al 656 negli Annali di Clonmacnoise mentre il ms. di Parigi Nonv. acq. Iat. 1615, ff. 13v-14r, ha 1'anno 657: la data esatta è però il 661, perché concordemente si assegnano a Finan dieci anni di episcopato.
La sua festa è ricordata al 9 gennaio nell'agiografia irlandese, al 17 febbraio, invece, negli autori inglesi e scozzesi.
Nel Breviario di Aberdeen aveva un Ufficio con nove lezioni. É da notare che la sua opposizione agli usi romani lo aveva escluso dal Calendario romano, ma Leone XIII, nel 1898, ha ristabilito la sua festa per la Scozia, dove è ricordato nella diocesi di Argyll.  
(Autore: Mario Salsano - Fonte: Enciclopedia dei Santi)
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*San Fintan - Abate di Cluain Ednech (17 febbraio)
+ 603
Martirologio Romano:
Nel monastero di Clúain Ednech in Irlanda, San Fintáno, Abate, Fondatore di quel cenobio e celebre per austerità di vita.
San Fintan nacque a Leinster in Irlanda e fu educato da San Columba di Tirda-Gals. Un’antica litania lo presenta quale discendente di Eochaid e tutte le fonti pongono in risalto l’eccezionale austerità che contraddistinse la sua vita. La tradizione vuole infatti che il Santo si nutrisse esclusivamente di pane d’orzo e di alcune erbe e bevesse solo acqua torbida. Non a caso molti giudicarono eccessivo il suo ascetismo, quasi una sorta di fanatismo.
Stabilitosi come eremita a Clùain Ednech nel Leix, accrebbe il numero dei discepoli che presero a circondarlo, a tal punto da dover fondare un vero e proprio monastero, presso Cluain Ednech.
Nelle sue “Vite” sono riportati numerosi miracoli non però fini a se stessi, bensì come già con Santa Brigida ed altri santi irlandesi miranti a sottolineare la dolcezza e la cortesia del santo.
Queste qualità emergono comunque anche da svariati episodi narrati nelle “Vite” del santo, per esempio il perdono che era solito accordare a quei monaci che partivano pellegrini senza il suo
benestare, oppure l’indulgenza mostrata nel mitigare l’austerità di vita per quei monaci più in difficoltà nel praticarla.
Fatto un po' macabro, ma significativo, è la sepoltura che Fintan diede alle teste di alcuni nemici appartenenti ad un clan rivale portategli dai predoni, nella speranza che la vicinanza della parte più importante del loro corpo ad un luogo di preghiera si rivelasse propizia nel giorno del giudizio finale.
La tradizione vuole che durante la preghiera il capo del santo fosse cinto di un’abbagliante aureola luminosa Secondo una versione della vita di San Fintan, risalente probabilmente al 1225, San Columba avrebbe detto “ad un giovane uomo di nome Colmano”, assai desideroso di tornare in Irlanda, di “recarsi da quell’ uomo beato che io vedo ogni sabato notte stare tra gli angeli davanti al tribunale di Cristo. Il giovane stupito disse: ‘Chi è questo santo e che tipo di uomo è?’
San Columba rispose: ‘É un uomo della tua razza, santo e bello, rosso in volto e con occhi splendenti, di scarsa capigliatura e canuto’. E il giovane: ‘Non conosco nessun uomo che corrisponda a questa descrizione nella mia provincia eccetto San Fintan’.
Allora San Colmano ricevette da San Columba il congedo e la benedizione e ritornò con gioia in Irlanda”.
(Autore: Fabio Arduino – Fonte: Enciclopedia dei Santi)
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*San Flaviano - Patriarca di Costantinopoli (17 febbraio)

m. Lidia (Asia Minore), 449/450
Fu ordinato sacerdote a Costantinopoli, città della quale, nel 446, diventò poi il patriarca. Due anni dopo, si trovò in mezzo a un'aspra lotta dottrinale. Nel 431 il Concilio di Efeso aveva chiuso la controversia provocata da Nestorio con la dottrina sulle due «nature divise» in Gesù Cristo: quella divina e quella umana.
A poco più di 15 anni di distanza un altro conflitto si accese per opera dell'anziano monaco Eutiche, superiore di un monastero presso Costantinopoli, che all'opposto attribuì a Gesù Cristo una sola natura: era il monofisismo. Per Flaviano opporsi a Eutiche poteva essere pericoloso. Il monaco, infatti fu appoggiato da diversi vescovi autorevoli, oltre che dall'imperatore Teodosio II.
La condanna di Flaviano, però, arrivò senza esitazione. L'imperatore Teodosio volle allora un nuovo Concilio, che si riunì ancora a Efeso nel 449. Vi intervennero, però, soltanto i sostenitori di Eutiche: Flaviano venne destituito ed esiliato in Lidia, dove morì poche settimane dopo. Venne riabilitato l'anno successivo e fu venerato come martire. (Avvenire)
Etimologia: Flaviano = dai capelli biondi, dal latino
Martirologio Romano: Commemorazione di San Flaviano, vescovo di Costantinopoli, che, per aver difeso ad Efeso la fede cattolica, fu percosso a pugni e calci dai seguaci dell’empio Dióscoro e, condannato all’esilio, finì poco dopo la sua vita.
Lo conosciamo soprattutto per le sue disgrazie, ignorando data e luogo della sua nascita. Ma sappiamo che è stato ordinato sacerdote a Costantinopoli; e che nell’anno 446 ne è diventato il
patriarca, cioè il capo della più importante sede episcopale dell’Impero romano d’Oriente. Due anni dopo, eccolo nella bufera, per uno dei più rudi conflitti dottrinali che all’epoca dividono tra loro vescovi, preti, monaci e fedeli.
Non molto tempo prima, nel 431, il Concilio di Efeso aveva chiuso la controversia provocata da Nestorio (allora patriarca di Costantinopoli) con la sua dottrina sulle due “nature divise” in Gesù Cristo: quella divina e quella umana. E ora un altro conflitto si accende per opera dell’anziano monaco Eutiche, superiore di un monastero presso Costantinopoli.
Il quale sbanda nell’altro senso, perché attribuisce a Gesù Cristo una sola natura. Questa è la dottrina del “monofisismo”, che va contro il concilio di Efeso e divide un’altra volta le comunità cristiane d’Oriente. Per il patriarca Flaviano la situazione è piena di rischi. Non può e non deve tollerare la spaccatura; ma opporsi a Eutiche può essere pericoloso, perché vescovi autorevoli sono dalla sua parte; perché l’imperatore Teodosio II lo sostiene; e perché un personaggio potentissimo a corte, l’eunuco Crisafio, è suo figlioccio. E questi due sarebbero ben lieti di immischiarsi nel conflitto. I pericoli sono grossi, ma Flaviano fa il suo dovere e condanna le dottrine di Eutiche, qualunque cosa possa poi accadere.
E accade di tutto. L’imperatore Teodosio convoca un nuovo Concilio, che si riunisce ancora a Efeso nel 449, in agosto. Ma lì parlano soltanto i sostenitori di Eutiche. Giungono da Roma i delegati del Papa Leone I, e si impedisce loro di leggere il suo messaggio in difesa della dottrina e del patriarca Flaviano.
Il quale viene poi destituito da patriarca, e infine aggredito pure fisicamente, prima di essere avviato all’esilio in Lidia, lontano da Costantinopoli, ma sotto controllo. Ci rimane poco, però: dopo qualche settimana è già morto. Nel450 c’è un cambiamento sul trono di Costantinopoli: morto Teodosio II, sua sorella Pulcheria si sposa e fa proclamare imperatore il senatore Marciano, e subito ordina di riportare nella capitale il corpo di Flaviano, che trova poi sepoltura nella chiesa dei Santi Apostoli.
Nel 451 si riunisce un nuovo Concilio sempre in terra imperiale, a Calcedonia. Qui i legati pontifici leggono infine il messaggio di Papa Leone I, che era stato “censurato” a Efeso.
E i padri conciliari lo applaudono dicendo: «Pietro ha parlato per bocca di Leone».
E per voce di tutto il Concilio, infine, si cancellano le accuse lanciate a Efeso contro Flaviano, che viene onorato come santo e martire.
(Autore: Domenico Agasso – Fonte: Enciclopedia dei Santi)
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*Beato Luca Belludi – Francescano (17 febbraio)

Etimologia: Luca = nativo della Lucania, dal latino
Martirologio Romano: A Padova, Beato Luca Belludi, sacerdote dell’Ordine dei Minori, discepolo e compagno di Sant’Antonio.
Della nobile Famiglia dei Belludi di Padova, entrò nell’Ordine Francescano a 25 anni, la tradizione vuole che sia stato lo stesso San Francesco a vestirlo col saio.
Di ottima cultura perché è probabile che abbia frequentato la rinomata Università di Padova.
Sacerdote nel 1227, Luca si incontrò con Sant’ Antonio da Padova, di cui divenne discepolo fedele fino alla morte di lui, per questo fu chiamato "Luca di Sant' Antonio".
Fu uno dei redattori dei ‘Sermones’ del Santo.
Con le sue preghiere e con l’intervento in sogno di Sant’ Antonio, Padova fu liberata dalle prepotenze del tiranno Ezzelino da Romano (20 giugno 1256).
Il Beato morì il 17 febbraio 1286.
Il suo corpo fu deposto nella stessa urna che aveva contenuto il corpo di Sant’ Antonio.
Nel 1971 fu traslato in altra tomba sempre nella Basilica del Santo a Padova.
Da sempre considerato Beato, titolo confermato dopo regolare processo da Pio XI il 18 maggio 1927.
Rimangono di lui i “Sermones dominicales” che si conservano integralmente nella Biblioteca Antoniana di Padova.
É stato detto di lui dai massimi storici: “Fu discepolo e compagno di Sant’ Antonio, uomo veramente dottissimo, eccellente fra i predicatori e nella dottrina e vita poco dissimile dal suo Maestro”.
É invocato dagli studenti per il buon esito degli esami.
(Autore: Antonio Borrelli – Fonte: Enciclopedia dei Santi)
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*San Lupiano (17 febbraio)
Nel De Gloria Confessorum, cap. 54, Gregorio di Tours ha dedicato a Lupiano una breve notizia che è tutto quanto sappiamo di questo personaggio.
«Verso il limite della regione del Poitou, che tocca la città di Nantes, e, cioè, nel paese di Retz (o di Rié) riposa un certo Lupiano, che mori nella settimana stessa del suo Battesimo.
Il Battesimo, a quanto si dice, gli era stato conferito dal vescovo Sant’ Ilario.  
Come abbiamo detto, Lupiano morì ben presto e Dio, che è all'origine di ogni bene, gli attribuì una grazia tale che presso la sua tomba un cieco ricupererà la vista, un paralitico i movimenti, un muto la parola».
Se quanto riferisce Gregorio è esatto, bisogna porre il Battesimo e la morte di Lupiano all'epoca dell'episcopato di Sant'Ilario a Poitiers e nei pochi anni che egli non trascorse in esilio, cioè tra il 350 e il 356, oppure tra il 360 e il 367 o il 368, data della sua morte.
Henri Chàtaignier de la Rochepozay, vescovo di Poitiers, iscrisse Lupiano nelle sue litanie potevine, ma senza indicare un giorno di festa per questo Santo, perché evidentemente non ne aveva nella diocesi.
A Clermont-Ferrand, in Alvernia, si festeggiava il 17 febbraio la traslazione di un San Lupiano, confessore.
È probabile che si tratti dello stesso, ma non è provato.
(Autore: Jean Evenou – Fonte: Enciclopedia dei Santi)
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*San Mesrop - Dottore della Chiesa Armena (17 febbraio)

362 – 441
Martirologio Romano:
In Armenia, San Mesrop, dottore degli Armeni: discepolo di San Narsete e scrivano nel palazzo reale, divenuto monaco, creò un alfabeto, perché il popolo potesse essere avviato alle sante Scritture, tradusse i due Testamenti e compose inni e altri cantici in lingua armena.
La tradizione vuole che il primitivo annuncio del Vangelo in terra armena avvenne ad opera dei santi apostoli Bartolomeo e Giuda, ma indipendentemente dalla veridicità di tale notizia l’Armenia venne cristianizzata alcuni secoli dopo dal celebre San Gregorio l’Illuminatore.
Questi, con il determinante appoggio del re San Tiridate III, nel 310 fece proclamare il cristianesimo religione di stato, undici anni prima che Costantino si limitasse a concedere la libertà di culto nell’impero romano.
La Chiesa armena venne poi meglio strutturata da San Narsete I il Parto, il cui figlio Sant’Isacco ne confermò l’autocefalia da quella della Cappadocia, edificando monasteri, eliminando i vescovi coniugati e ponendo le basi di una letteratura in lingua armena.
Suo principale collaboratore in questa opera fu proprio San Mesrop, oggi festeggiato.
Ex funzionario statale, quando il territorio armeno fu spartito fra la Persia e l’impero romano
d’Oriente, tra il 420 ed il 430, Mesrop meditò di ritirarsi a vita solitaria e, ricevuta l’ordinazione presbiterale, si diede allo studio del greco, del siriaco e del persiano.
Si accorse però ben presto come l’efficacia della sua opera missionaria tra la popolazione armena fosse non poco ostacolata dall’assenza di una versione della Bibbia e dei libri liturgici in lingua vernacolare.
Fu innanzitutto necessario dotarsi di un alfabeto: con la collaborazione di Sant’Isacco e di un calligrafo greco di nome Rufino, adattò i caratteri minuscoli dell’alfabeto greco insieme ad altri elementi provenienti da diverse fonti, dando così vita ad un nuovo alfabeto composto di trentasei lettere.
La sua introduzione diede un grande impulso allo sviluppo della letteratura nazionale ed in pochi anni fu tradotta l’intera Bibbia.
Mesrop, che pare abbia curato la traduzione del Nuovo Testamento, meritò così di essere considerato il padre della letteratura ecclesiastica armena.
Egli si cimentò inoltre nella traduzione di numerosi testi liturgici e patristici. In seguito si spinse a predicare anche in Georgia, ove condusse a termine un lavoro simile con l’alfabeto di tale nazione.
Dopo aver fondato alcune scuole, Mesrop fece ritorno nel suo paese ed incoraggiato da Isacco ne fondò una propria per cimentarsi in nuove traduzioni dal greco e dal siriaco all’armeno.
Il Santo morì ormai ultraottantenne nel febbraio del 441 e nel 1962 la Chiesa armena ne ha commemorato solennemente il sedicesimo centenario della nascita.
Esistono almeno due versioni della sua Vita, redatte in lingua armena dal fedele discepolo Gorìun.

(Autore: Fabio Arduino – Fonte: Enciclopedia dei Santi)
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*San Pietro Yu Chong-nyul – Martire (17 febbraio)
Scheda del gruppo a cui appartiene:
"Santi Martiri Coreani" (Andrea Kim Taegon, Paolo Chong Hasang e 101 compagni)

20 settembre Taphyen, Corea del Nord, 1837 – Pyongyang, Corea del Nord, 17 febbraio 1866
Padre di famiglia, fu canonizzato da Giovanni Paolo II il 6 maggio 1984.
Martirologio Romano:
A Pyongyang in Corea, San Pietro Yu Chǒng-nyul, martire: padre di famiglia, mentre di notte leggeva il Vangelo ai fedeli radunati in casa del catechista, fu arrestato e, frustato a morte, morì per Cristo.
(Fonte: Enciclopedia dei Santi)
Giaculatoria - San Pietro Yu Chong-nyul, pregate per noi.

*Santi Sette Fondatori dell'Ordine dei Servi della Beata Vergine Maria (17 febbraio)
sec. XIII-XIV
Intorno al 1233, mentre Firenze era sconvolta da lotte fratricide, sette mercanti, membri di una compagnia laica di fedeli devoti della beata Vergine, legati tra loro dell'ideale evangelico della comunione fraterna e del servizio ai poveri, decisero di ritirarsi per far vita comune nella penitenza e nella contemplazione.
Lasciate attività, case e beni ai poveri, verso il 1245 si ritirarono sul Monte Senario, nei pressi di Firenze, dove costruirono una piccola dimora e un oratorio dedicato a santa Maria.

Molti si rivolgevano a loro per risolvere dubbi e angosce, tanto che essi decisero di dare inizio ad un Ordine dedicato alla Vergine, di cui si dissero Servi - l'Ordine dei Servi di Maria -, adottando la Regola di Sant'Agostino.
Nel 1888 Leone XIII canonizzò i sette primi Padri, sepolti, insieme, a Monte Senario.
Si tratta di San Bonfiglio, guida del gruppo laico e poi priore della nascente comunità. San Bonagiunta, priore tra il 1256 e il 1257.
San Manetto, artefice delle prime fondazioni in Francia.
Sant'Amadio, anima del gruppo. San Sostegno e Sant'Uguccione, amici tra loro. Sant'Alessio, zio di santa Giuliana. (Avvenire)
Martirologio Romano: Santi sette fondatori dell’Ordine dei Servi di Maria: Bonfilio, Bartolomeo, Giovanni, Benedetto, Gerardino, Ricovero e Alessio.
Prima mercanti a Firenze, di comune accordo, sul monte Senario, si consegnarono nelle mani della beata Maria, istituendo l’Ordine sotto la regola di Sant’Agostino.
Vengono commemorati insieme nel giorno in cui si tramanda che Alessio, il più longevo, sia morto centenario.
Intorno al 1233, mentre Firenze era sconvolta da lotte fratricide, sette mercanti, membri di una compagnia laica di fedeli devoti della Beata Vergine, legati tra loro dell’ideale evangelico della comunione fraterna e del servizio ai poveri, decisero di ritirarsi in solitudine per far vita comune nella penitenza e nella contemplazione.

Abbandonata l’attività commerciale, lasciarono le proprie case e distribuirono i beni ai poveri.
Verso il 1245 si ritirarono sul Monte Senario, nei pressi di Firenze, dove costruirono una piccola dimora e un oratorio dedicato a santa Maria.
Conducevano vita austera e solitaria, non ricusando tuttavia l’incontro con le persone che, spinte dal dubbio e dall’angoscia, cercavano il conforto della loro parola.
Diffondendosi sempre più la fama della loro santità, molti chiedevano di far parte della loro famiglia.
Pertanto essi decisero di dare inizio ad un Ordine dedicato alla Vergine, di cui si dissero Servi -
l’Ordine dei Servi di Maria -, adottando la Regola di Sant’Agostino.
Nel 1888 Leone XIII canonizzò insieme i sette primi Padri. A Monte Senario un unico sepolcro raccoglie insieme le spoglie mortali di coloro che la comunione di vita aveva resi un cuor solo e un’anima sola.
San Bonfiglio
Padre e guida del gruppo laico e poi Priore della nascente comunità dei Servi di Maria.
Viene raffigurato con la colomba bianca che si posa sulla sua spalla destra, per indicare quei doni dello Spirito Santo di cui ciascuno dei Sette era adornato, maggiormente manifestato in lui per il suo carisma di Padre del primo gruppo e della comunità poi.
Morì, secondo la tradizione, il 1° gennaio 1262.
San Bonagiunta
Uomo austero verso se stesso, ma dolce, amabile e comprensivo verso il prossimo. Anch’egli ricoprì la carica di Priore Generale tra il 1256 e il 1257.
Per la sua tenacia difesa della verità e della giustizia, cercarono di avvelenarlo, ma fu liberato da Dio.
Morì il 31 agosto 1267.
San Manetto
Anch’egli Priore Generale, fu uomo di grandi capacità organizzative e direttive, tanto che si attribuiscono a lui le prime fondazioni in terra di Francia.
Fu lui ad accogliere Arrigo di Baldovino, primo di quella schiera di laici che si aggregò all’Ordine dei Servi. La tradizione pone il giorno della sua morte il 20 agosto 1268.
Sant’Amadio
Possiamo dire che nel gruppo dei Sette egli era come la fiamma che dava calore a tutti con la sua grande carità che si alimentava dell’amore di Dio.
Il suo nome, Ama-Dio, fu un vero presagio, segno della ricchezza della sua vita spirituale e di carità. Morì il 18 aprile 1266.
San Sostegno e Sant’Uguccione
Di questi due Santi si ricorda in particolare la loro amicizia, tanto che l’iconografia li rappresenta insieme, e la morte, avvenuta per ambedue lo stesso giorno e anno ( 3 maggio 1282)
è come un segno e un sigillo di autenticità del cielo alla loro fraternità.
Nel gruppo dei Sette, essi rimangono dunque come simbolo di fraternità vissuta in comunione di vita e di intenti, ma anche come segno specifico di amicizia che, se vera e gratuita, da Dio è ispirata e reciprocamente aiuta a salire a Dio.
Sant’Alessio
Della famiglia dei Falconieri, zio di Santa Giuliana, esempio fulgido di umiltà e purezza.
La sua vita fu una continua lode a Dio.
Amava andare per la questua, impegnandosi specialmente a sostenere i suoi frati mandati a studiare alla Sorbona di Parigi.
È morto all’età di 110 anni il 17 febbraio 1310.
Preghiera
A voi veniamo, nostri Padri antichi,

come figli, discepoli, amici,
per apprendere da voi, immagini vive di Cristo,
come si ami Dio sopra ogni cosa
e per i fratelli si spenda la vita;
come il perdono vinca l’offesa
e con il bene si ricambi il male;
come al bisognoso si tenda la mano,
dell’afflitto si lenisca la pena,
il cuore si apra all’amico; come insieme
ricostruisca la casa, e nella dimora paterna si viva,
un cuor solo e un’anima sola.
Ci accompagni, Padri nostri, il vostro esempio
di comunione fraterna
e di servizio a Santa Maria, e ci sostenga
la vostra intercessione
e la materna protezione di Nostra Signora,
oggi e in ogni tempo della nostra vita.
Amen.
(Autore: Massimo Cuofano, OSSM - Fonte: Enciclopedia dei Santi)
Giaculatoria - Santi 7 Fondatori dell'Ordine dei Servi della B.Vergine Maria, pregate per noi.

*San Silvino di Therouanne – Vescovo (17 Febbraio)

+ Arras, Francia, 720 circa
Martirologio Romano:
A Auxy-aux-Moines nel territorio di Thérouanne, in Francia, deposizione di San Silvino, Vescovo.
Nulla ci è stato tramandato circa le origini del Santo oggi festeggiato, anche se la tradizione vuole che fosse uno scozzese o un irlandese errante approdato alla corte del re franco Childerico II.
Silvino, quasi sul punto di sposarsi, sentì improvvisamente la vocazione al celibato e ad una vita di povertà.
Abbandonò perciò la fidanzata e la corte per recarsi a Roma, dove ricevette l’ordinazione presbiterale.
Gli fu poi addirittura conferita la consacrazione episcopale, ma probabilmente fu un vescovo privo di sede fissa, sebbene talvolta il suo nome sia stato associato alle città francesi di Thérouanne o di Tolosa.
L’intera sua vita fu da allora impiegata nel dispiegare ogni sua ricchezza in opere di carità, evangelizzando ed edificando chiese nella Francia nord-orientale, a quel tempo ancora in gran parte pagana.
Silvino di distinse per la sua grande umiltà e per l’austerità della sua vita: si nutriva infatti esclusivamente di verdure e di frutta e solo in età avanzata accettò di possedere un cavallo di cui servirsi quale mezzo di trasporto per ridurre la fatica del visitare a piedi il territorio della diocesi.
Il Santo pastore fu particolarmente amato per la sua santità e per la carità che lo contraddistinse, ma in vita fu già venerato anche per le sue doti di taumaturgo.
Morì verso l’anno 720 nei pressi di Arras e ricevette sepoltura nel monastero di Auchy-les-Moines.
(Autore: Fabio Arduino - Fonte: Enciclopedia dei Santi)
Giaculatoria - San Silvino di Therouanne, pregate per noi.

*San Teodoro Tiro di Amasea - Soldato e Martire (17 febbraio)
Soldato dell'esercito romano di origine orientale, Teodoro era stato trasferito ad Amasea, in Anatolia (Turchia) al tempo dell'imperatore Galerio Massimiano (IV sec.).
Lì la guarnigione venne raggiunta da un ordine: tutti dovevano sacrificare agli dèi. Teodoro, cristiano, si rifiutò. Venne torturato, imprigionato e infine bruciato vivo.
Il culto si diffuse rapidamente in Oriente e dal VI secolo in Occidente. (Avvenire)
Patronato: Militari, reclute, Brindisi
Etimologia: Teodoro = regalo, dono di Dio, dal greco. In veneto Tòdaro
Emblema: Palma
Martirologio Romano: Ad Amasea in Ellesponto, nell’odierna Turchia, passione di San Teodoro Tirone, che, al tempo dell’imperatore Massimiano, per aver confessato la sua fede cristiana fu violentemente percosso e gettato in carcere e, infine, dato a bruciare sul rogo.
Celebrò le sue lodi san Gregorio di Nissa in un celebre encomio.
Originario dell’Oriente, arruolato nell’esercito romano, era stato trasferito con la sua legione nei quartieri invernali di Amasea (Anatolia) al tempo dell’imperatore Galerio Massimiano.
Improvvisamente fu promulgato un editto per cui si ordinava ai soldati di sacrificare agli dei; Teodoro che era un cristiano si rifiutò nonostante le sollecitazioni del tribuno e dei compagni; gli
fu concesso un tempo per ripensarci ma egli ne approfittò per incendiare il tempio di Cibele (Madre degli dèi) che sorgeva al centro di Amasea presso il fiume Iris.
Ricondotto in tribunale fu torturato con il cavalletto e poi gettato in prigione a morire di fame, lì ebbe celesti e confortanti visioni, infine fu condannato a bruciare vivo, ciò avvenne il 17 febbraio probabilmente fra il 306 e il 311 d.C. Il suo sepolcro stava in una piccola località Euchaite vicino ad Amasea (odierna Aukhat in Turchia) che nel secolo X fu chiamata anche Teodoropoli.
Le notizie della sua vita ci sono pervenute da un discorso pronunciato da San Gregorio di Nissa nella basilica che sorgeva già nel IV sec. ad Euchaite nel Ponto ove era il suo sepolcro. Discorso poi confermato in una ‘passio’ greca di poco posteriore.
Il suo culto si propagò in tutto l’Oriente cristiano e successivamente nell’impero Bizantino. In Occidente la prima traccia di un culto a lui tributato deve considerarsi il mosaico absidale tuttora esistente nella basilica dei santi Cosma e Damiano al Foro Romano eretta nel 526-30.
Monasteri a lui dedicati esistevano già alla fine del secolo VI a Palermo, Messina, Ravenna, Napoli; a Venezia fino al sec. XII fu invocato come patrono della città e poi sostituito con s. Marco.
Secondo un’antica tradizione il suo corpo fu trasferito a Brindisi dove è conservato in un’urna –reliquiario di argento nella Cattedrale. Venezia lo ricorda nelle figure di una vetrata e nel portello dell’organo di due chiese e poi anche con la colonna posta in piazzetta San Marco sulla cui sommità vi è una sua statua in armatura di guerriero, con un drago ai suoi piedi simile ad un coccodrillo.
Nel sec. IX Teodoro era l’unico santo con questo nome, ma poi appare un altro Teodoro non più soldato ma generale il quale sarebbe morto ad Eraclea al tempo di Licinio il 7 febbraio e anche lui
Sepolto ad Euchaite il 3 giugno.
Questo sdoppiamento dell’unico martire Teodoro generò una doppia fioritura di leggende di cui rimangono relazioni in greco, latino e altre orientali e influirono a loro volta nei giorni delle commemorazioni.
Nei sinassari bizantini il T. generale è ricordato l’8 febbraio mentre il soldato il 17 febbraio. Nei martirologi occidentali invece il generale è ricordato il 7 febbraio e il soldato il 9 novembre. A volte compaiono tutti e due insieme in mosaici o affreschi riguardanti santi militari. Comunque trattasi della stessa persona commemorata in due giorni diversi.
(Autore: Antonio Borrelli - Fonte: Enciclopedia dei Santi)
Giaculatoria - San Teodoro Tiro di Amasea, pregate per noi.

*Altri Santi del giorno (17 febbraio)
*Santa Marianna - Martire
Giaculatoria - Santi tutti, pregate per noi.

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